giovedì 26 novembre 2009

Guillemots

Through The Window Pane (2006 - Polydor/Fantastic Plastic)
Un disco del 2006, tanto per ricordarci che la vita non è fatta solo di bianco, nero e tonalità di grigi conseguenti, che non è fatta solo di scelte drastiche, di integralismi e ferree prese di posizione, ma invece trae la sua bellezza dall’infinità varietà di colori e di loro combinazioni, da intuizioni e da innamoramenti, e nasconde poesia un po’ ovunque, a volerla cercare. Ecco qui un album che se ne frega beatamente di stili, scuole e convenienze e come un meteorite gentile prova a destabilizzare tutte le idee che ci eravam fatti sui destini della pop music. Nati a Londra nel 2004, i Guillemots si sono ritagliati un sobrio spazio nel panorama indie di quelle parti. Il disco arriva alle soglie della top ten, ma anzichè sfondare con il successivo (Red, dell’anno scorso, non ha una canzone all’altezza di questo esordio), i ragazzi rimangono nel limbo. In Through The Window Pane si manifestavano vitali e vivaci, ma anche intensi e profondi. Eccessivi, si potrebbe dire, perché prodighi nell’inventiva melodica, poliedrici nelle evoluzioni armoniche, addirittura straripanti nelle opzioni timbriche. Come spesso succede in casi simili, non è da una canzone dei Guillemots che si possa scoprire che cosa in effetti siano i Guillemots, perché troppi sono i cambi di prospettiva e troppo diversi gli impulsi creativi delle dodici tracce, legate più che altro dalla voce riccamente espressiva e molto pop di Fyfe Dangerfield e da un senso di libertà romantica stupefacente. Si va dalla rarefazione di Little Bear, la cui bellezza vale una vita intera, alla magniloquenza di Sao Paulo (una suite tripartita di dodici minuti, praticamente), nel frattempo tinteggiando nuances pinkfloydiane (A Samba In The Snowy Rain), osando ammiccamenti catchy alla billyjoel (Annie, Why Wait?), sciorinando ritornelli infiniti nel miglior stile british ( la splendida We’re Here, da repeat sistematico), e ricorrendo ad immancabili reminiscenze wave (chi si ricorda gli Associates? beh, la titletrack è il pezzo che avrebbero sempre sognato di scrivere). Come piccole divinità paniche giocano con tutta la gamma che l’arte di far musica mette a loro disposizione, baciati da uno stato di grazia forse irripetibile, e creando infine un piccolo sbalorditivo universo a parte, che ogni cuore sensibile potrebbe abitare per sempre.

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