mercoledì 23 dicembre 2009

MdD #4 (Marco) Mirah and The Black Cat Orchestra, To all we stretch the open arm


Mirah (all'anagrafe Mirah Yom Tov Zeitlyn) ha il talento e quella puntarella di antipatia tipica dei predestinati. Già con un nome così (in ebraico Yom Tov vale "buona giornata"), schieratissima per naturale militanza dalla parte delle minoranze, lesbica dichiarata, la Mirah non passa inosservata. Anche se abitualmente incide e si esibisce sa sola, in questo disco collabora con la Black Cat Orchestra, sfornando una raccolta di canti di protesta (in senso un po' lato, invero) di tutto il mondo, riletti armonizzando l'impronta folkeggiante di Mirah con la chiave genericamente jazz, della BCO. Comincerete a pensare che recensisco solo antologie di protest songs, vi prometto che è l'ultimo. Ma come si fa tacere di un disco di jazzisti dell'Oregon che fa una splendida e funerea rivisitazione strumentale di "Morti di Reggio Emilia" - qui l'originale - del nostro amico e vicino di casa Fausto Amodei sullo stesso CD su cui rilegge Bob Dylan, Leonard Cohen, Kurt Weill, le canzoni della guerra civile spagnola? Operazione Nostalgia? Per nulla, dall'interazione tra Mirah e la Black Cat Orchestra nascono brani rivitalizzati, moderni, in cui il lamentoso gioco di accordeon e violoncello accompagnano la splendida voce di Mirah, che non rinuncia a divagazioni bluesy. Anche i brani strumentali però non deluldono, anzi, la perla dell'album è proprio "Si me quieres escribir", vecchio brano della guerra civile spagnola, che qui diventa un tragico lamento a due voci per violoncello e fisarmonica. Tra i momenti più alti anche Dear landlord (Bob Dylan), Story of Isaac (Leonard Cohen) e "Si se calla el cantor", di Horacio Guarany e la stessa Morti di Reggio Emilia, che mai più avrei pensato di vedere rifatta qui.

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