sabato 26 dicembre 2009

MdD #9 (Marco), Chumbawamba, The Boy Bands Have Won


Poliedrici, anarchici, antagonisti, i Chumbawamba restano per molti il gruppo di Tubthumper, Top of the world, Amnesia e compagnia bella. Ritmiche possenti, grande uso di elettronica cattiva per ritornelli immediati e persistenti. Ma i Chumba sono (stati) ben altro, dalle esecuzioni a cappella di English Rebel Songs al quasi country di Slap!, al power pop di WYSIWYG. Ridottisi a quintetto, uscito soprattutto Danbert Nobacon, i Chumba sembrerebbero aver semplicemente tirato i remi in barca ed imbracciato una svolta musicalmente moderata. Non è così, se gli strumenti sono acustici la rabbia, la delusione continuano a pulsare forte e con "The boy bands have won" i Chumba sfornano un disco che è molto di più di una tappa della variegata carriera musicale. Già dal titolo è chiaro che è un'amara riflessione sul mondo di oggi, musicale e non, sui disvalori dominanti, su come una generazione battagliera ha perso mentre a vincere sono le politicamente quiete boy bands. Musicalmente il disco dimostra il valore assoluto dei Chumba a fare canzoni, a sfornare melodie che ti si attaccano immediatamente alle orecchie, questa volta senza campionatori, distorsori o altre macchine. In alcuni casi ("El Fusilado", "Words can save us") senza niente, voci e mani, e basta. Quasi cantautorali nella loro semplicità le canzoni scorrono via perfette, alcune di pochi secondi appena, scarne nella strumentazione e ricche negli arragiamenti vocali. I testi, come e più di sempre sono di raffinata intelligenza e spaziano su tutto lo scibile umano: dalla alienazione di Facebook ("Add me"), alle ingiustizie carcerarie ("Waiting for the bus", dedicata a Gary Tyler), dalla difesa dell'evoluzionismo darwiniano dagli attacchi dei creazionisti ("Charlie"), ai rivoluzionari diventati reazionari ("A Fine Career") dalla dura vita dei lavoratori occasionali ("Compliments of your waitress") al valore astratto della parola ("Word bomber", "Words can save us"). Un disco di rara intelligenza, ponderatissimo, amaro e quasi disperato nel suo abitare la sconfitta, che non a caso finisce non a caso con l'inquietante domanda "we know what we want, we know what we got, but do we need?". Personalmente, ho bisogno di dischi come questo.

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