giovedì 18 febbraio 2010

Herbie Hancock - Maiden Voyage

Una delle cose più impressionanti di questo disco, “una delle”, è che l’autore, Herbie Hancock, aveva 25 anni quando l’ha registrato. 25 anni! A quell’età creare un simile capolavoro, un tale prodigio di equilibrio, fantasia, profondità e semplice bellezza è davvero impressionante.
A dire il vero siamo nel 1965 e il ragazzo militava già da un paio di anni nel fenomenale secondo quintetto di Miles Davis, quello che a mio avviso è stato il punto più alto della carriera di uno dei più grandi musicisti del secolo. Ed è tutto dire.
E di quel quintetto in questo disco c’è quasi tutto: Herbie Hancock al piano, George Coleman al sax tenore, Ron Carter al basso, Tony Williams alla batteria. E alla tromba, al posto del meraviglioso suono del divino Miles, Freddie Hubbard, che se non era alla stessa altezza per quanto riguarda l’ispirazione, poco ci mancava e la tecnica era perfino superiore.
Cinque musicisti strepitosi dunque e questo album è uno dei loro gioielli (ne registrarono altri insieme, Empyrean Isles su tutti, anche questo bellissimo). Una sorta di concept-album dedicato al mare (maiden voyage è il viaggio inaugurale di una nave, ma maiden sta anche per inviolato, incontaminato, come le terre esplorate da questo vascello) e al mare, ai suoi abitanti, ai suoi paesaggi nascosti, si viene trasportati durante l’ascolto dei 42 minuti e rotti della sua durata.
Il primo brano, la title track è programmatico fin dalle prime note: un ritmo semplice e ripetuto sostenuto da tutti gli strumenti che evoca il movimento periodico e incessante delle onde del mare, presto impreziosito dalle trame sinuose e contorte prima del sax e poi dalla tromba prima di essere sommerse dallo spumeggiare delle note sparse a pioggia dal pianoforte di Hancok per poi richiudersi sullo stesso tema iniziale.
Dopo si scatena l’uragano, ed è proprio The Eye of the Hurricane a travolgere con la sua energia circolare, mettendo in luce il solido e non fine a se stesso virtuosismo di tutti gli interpreti che si mettono in fila per investirci con veementi cascate di note.
Segue Little One ed è una piccola ballad tenue e delicata, quiete dopo la tempesta, che lascia il tempo necessario a rifiatare, a riprendersi dalle peripezie del brano precedente.
La successiva Survival of the Fittest richiama un quadro di darwiniana lotta per la sopravvivenza, dove creature diseguali (ritmi e temi) si affrontano, si alternano, si scontrano e si incontrano in un caos quasi primordiale, alternando momenti furiosi a improvvisa quiete, voli pindarici e ritmi arcaici, ronzii di insetti e furia di fiere.
Infine la danza dei delfini, Dolphin Dance, appunto, un quadro incantevole, di quelli da ammirare al tramonto con le sagome dei cetacei che saltano nel mare rosseggiante. Rilassante e sublime, con gli strumentisti che si godono a loro volta la quiete con fraseggi melodici e rilassati come non avevano ancora fatto nel resto del disco.

Beh questo è il mio primo consiglio per gli acquisti, ed è un consiglio che do veramente a cuor leggero, tanto stupendo è questo album. Ho deciso di non fare classifiche: quando si tratta di capolavori per me è troppo difficile stabilire un qualche ordine di preferenza, ma se proprio venissi costretto, Maiden Voyage figurerebbe senza dubbio tra le primissime posizioni.
Ah, poi come consiglio d’acquisto è veramente poco impegnativo: queste cose ormai si trovano a circa 5 euri. Spesi benissimo.

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