mercoledì 27 gennaio 2010

I 5 gruppi più sopravvalutati della storia della musica

Mi prendo, a beneficio mio e di chi legge, una pausa dai ragionamenti e dalle considerazioni che vogliono, con esito incerto, essere intelligenti e mi dò ai giudizi sputati, ai listini, alle classifiche secche. Top 5 dei sopravvalutati: Dire Straits, U2, Rolling Stones, Doors, Manu Chao. Ok, l'ho detto. Adesso potete spararmi.

lunedì 25 gennaio 2010

The XX -xx

[Poi la pianto con ‘sti Cure, ché qui sta diventando tipo una fanzine]
Come faceva ben notare Marco, una delle parole più abusate in campo musicale, più che altro da chi ne parla, è “seminale” e sarebbe un termine da attribuirsi a chi, con la propria opera, ha deposto un seme che poi è maturato ed è diventato qualcosa di più grande (e chi quella pianticella decide di coltivarla per forgiare il proprio stile musicale diventa a sua volta “derivativo”, che può essere un termine negativo o positivo a seconda dell’umore o dell’intransigenza di chi scrive).
Beh, i Cure in questo caso sono stati seminali, e i The XX derivativi.
Questo disco è stata una scoperta del 2009, sbucato fuori da non so dove (Londra in realtà) con le sue atmosfere di languido pop, ritmi semplici e lineari (la batteria manco la suonano, a giudicare dai video, ma usano quei cosini pieni di tasti per fare tum-cià-tum), qualche tastierina non invadente, la chitarra suonata a ricamare, come quello là, Robert Smith, appunto, doppia voce maschile-femminile e tanto buon gusto.
Certe influenze influenze si sentono eccome, tanto da fargli perdere ogni velleità di originalità: i Cure anni '80 su tutti, poi Young Marble Giants o The Organ, se non fossero già loro piuttosto derivative...
Un disco senza troppe pretese insomma, ma davvero accattivante che si lascia ascoltare innumerevoli volte nonostante la sua semplicità.
Qui un assaggio:

venerdì 22 gennaio 2010

I Cure ed i detersivi, ovvero Adorno aveva ragione

Qualche giorno fa stavo facendo la spesa in uno sfigatissimo Dìperdì di San Salvario, uno di quei luoghi abitualmente inquinati da una musica che non evolve dall'essere solo sottofondo. Spesso poi è solo una radio mainstream accesa, con il solito dj ritardato, il bollettino del traffico e l'ultimo singolo di Marco Carta. Quando si è proprio fortunati almeno il volume è basso, o il brusio dei clienti copre gli altoparlanti. Mentre ravanavo tra sughi pronti e robiole dagli altoparlanti, inattesa e sempre meravigliosa, si diffonde “Lullaby” (dei Cure, casomai qualcuno avesse dubbi e se ne avete ascoltatela). Sobbalzo per la piacevole sorpresa, come se avessi visto un ghepardo in Via Madama Cristina. La magnificenza di uno dei migliori singoli della ditta Smith e coll. ad allietare la perlustrazione di scaffali di pasta e detersivi. Non si potrebbe chiedere di meglio, infatti mi sono subito incantato ad ascoltare, eppure... Eppure qualcosa stonava. C'è qualcosa di inconciliabile tra la sinuosa ed ammaliante Lullaby (letteralmente “ninna-nanna”) ed un non-luogo, anonimo e vuoto, come un supermercato. Va bene sentire una melodia conturbante che induce una fascinazione ipnotica, evoca amplessi incantati (“his arms are all around me and his tongue in my eyes”, la lingua negli occhi, nientedimeno...), tensione e mistero mentre scegli la polpa di pomodoro? “Signore, c'è il 3x2 sui pelati!” e intanto “the spiderman is having you for dinner tonight". Non si incastra bene, vero? Malissimo, direi. E' stata la prima volta che Lullaby, alla fin fine, mi ha dato fastidio. Allora poniamoci il problema: che musica va bene in un supermercato? Non certo una musica attraente o raffinata, infatti nessuno si sogna di mettere Glenn Gould o Rachmaninoff al parcheggio dell'Ipercoop. Stai facendo acquisti, stai scegliendo che dentifricio comprare al bambino, non hai certo tempo per il Clavicembalo ben temperato o per la Sinfonia del Nuovo Mondo. La scelta è allora musica che non incanti, che resti sfondo sonoro e non colonna, che arredi senza proporsi, quindi anonima ed in quanto tale inutile se non sgradevole. Ma a questo punto, non sarebbe meglio il silenzio? Come diceva il buon Moni Ovadia (ma ho il forte sospetto che l'idea originale fosse di Adorno) andiamo sempre più verso una società che aggiunge (opzioni, sensazioni, stimoli) e sarebbe invece bello cominciare ad avere un'estetica del togliere. Sentiamo musica nei negozi e nel metrò (non parlo dell'ascolto in cuffia che escludendo il resto del mondo toglie anziché aggiungere), in banca, in spiaggia e sul posto di lavoro – con esiti nefasti, vedi qui – non rendendoci conto che alla musica buona, così facendo, facciamo un affronto. Chi propone per il Dìperdì i Cure o i Van Der Graaf Generator o i Calexico o chi diavolo volete, insomma qualunque cosa ascoltiate con dedizione, li sta degradando, negando la nobiltà della musica non-classica. Allora Lullaby continuerò ad ascoltarla, a subirne la ombrosa malìa, tutte le volte in cui potrà essere protagonista, nell'ipod o in autoradio o in casa mia. Ascoltarla la dove abitualmente dimorano Giusy Ferreri o Richard Clayderman è solo portarla al livello di questi ultimi e se anche i Cure sono stati di certo sopravvalutati, non si meritano tanto.

giovedì 21 gennaio 2010

MdD (luca): fuori tempo massimo #3

The Modest Mouse – The moon and antarctica
Post-rock tra i migliori che mi sia capitato di ascoltare. Teso, nevrotico, profondamente coeso e, sebbene apparentemente essenziale, mantiene una linea di altissimo livello durante tutta l’ora di durata dell’album.
Se vi piacciono certe sonorità tipo Slint o June of 44, ascoltatelo, è musica che fa per voi.
Se non sapete manco chi siano gli Slint o June of 44, ascoltatelo lo stesso. È un gran disco e magari scoprite un genere. Poi andate a recuperare Slint o June of 44.

Qui un assaggio:

mercoledì 20 gennaio 2010

Vic Chesnutt - At the cut

E no, cazzo!!!
Stavo per scrivere un post su questo disco che sto ascoltando in ufficio, quando, cercando qualche ulteriore notizia in rete, vengo a scoprire che Vic Chesnutt è morto lo scorso Natale. Wikipedia dice che è morto di un overdose di muscle relaxants e lascia intendere che si tratti di suicidio.
Che mazzata, maledizione!
Stavo per dire che At The Cut è una delle cose più belle uscite lo scorso anno, e che questa ulteriore gemma rende la sua discografia un vanto per questi vituperati anni zero.
Era di Athens, la città che ha visto nascere anche i R.E.M. e da Michael Stipe era ammirato al punto da indurlo a produrre alcuni suoi album.
Faceva musica bellissima.


Qui una delle sue canzoni più struggenti (l'album è un altro, l'altrettanto bello North Star Deserter):

Ciao Vic, e grazie.

martedì 19 gennaio 2010

Carbon/Silicon - The Carbon Bubble

Vi ricordate di Mick Jones? Era l’altro dei Clash (l’altro era Joe Strummer buonanima).
E vi ricordate di Tony James? Questa è più difficile: era uno dei (il leader in realtà) Sigue Sigue Sputnik, un gruppo glam-techno-punk che ha fatto qualcosa negli anni ’80, poi scomparve, a quanto ne so io (ma francamente di ‘sti SSS ricordo a malapena una canzone, Love missile F1-11, e quindi magari sono stati attivissimi, ma io non lo so).
Ad ogni modo: questi due hanno fatto combriccola e fondato un gruppo, i Carbon/Silicon che a oggi ha già pubblicato tre album, l’ultimo dei quali è appena uscito.
La musica che fanno è un buon vecchio punk-rock (più rock che punk per la verità), davvero ben fatto e piacevole.
Non dico molto di più perché lo sto ascoltando proprio in questo momento, ma l’impressione è davvero positiva.
La cosa più notevole di tutte è che questo album viene via aggratis. Sì, proprio così.
L’intero album, traccia per traccia, è distribuito liberamente sul sito del gruppo, con tanto di copertine ad alta risoluzione. La licenza è Creative Commons.L’offerta gratis vale fino a...
Non ho capito.
Penso ci sia tempo, ma approfittatene subito, ne vale davvero la pena (sto continuando l’ascolto e andiamo sempre meglio).

Bear In Heaven - Beast Rest Forth Mouth

Solo una segnalazione, ché purtroppo il tempo non è molto:
album godibilissimo di pop psychedelico, sull'onda di Animal Collective e derive analoghe (Fleet Foxes, Grizzly Bear,...) ma pure con venature più vecchiotte, tipo Stone Roses con qualche inserzione di elettronica che non guasta.
Senza troppe pretese, ma di gran buon gusto.
Qui un assaggio (ma su Youtube c'è praticamente tutto l'album):

venerdì 15 gennaio 2010

MdD(luca): fuori tempo massimo #2

Outkast – Speakerboxxx (2003)
L’album in questione in realtà si chiama Speakerboxxx / The Love Below ed è un doppio CD costituito da due album praticamente autonomi. Il primo prodotto da Antwan Patton a.k.a. Big Boi e il secondo da Andrew Benjamin (già Dre, ora Andre3000), i due membri degli Outkast, che di fronte a divergenze artistiche hanno deciso di fare ognuno per conto proprio e di produrre due album al prezzo di uno. Alla faccia dell’opportunismo commerciale.
Per quanto possa riconoscere razionalmente il valore di The Love Below, a colpirmi in pieno stomaco con la sua grandiosità e però per me il solo Speakerboxxx.
Hip-hop potente e trascinante, bassi spaccacasse, campionamenti azzeccati, rap di altissima fattura. 19 brani di hip-hop visionario e funkadelico, alcune derive techno, ritmi violenti e azzeccatissimi. Un discone che da giorni sta ammazzando le casse della mia macchina, vado in giro come un tamarro di quelli insostenibili, ma non posso farne a meno, va sentito così, al massimo volume consentito dall’impianto.

giovedì 14 gennaio 2010

I sopravvalutati - The Rolling Stones (dopo la morte di Brian jones)

"la cosa più salutare è sicuramente iniziare dai propri idoli", L. Croce, op.cit, 2009. D'accordissimo, d'altronde Abramo fonda il monoteismo distruggendo gli idoli del padre Terakh, e da quel gesto deriva quasi tutta la nostra cultura, non solo di musica pop.
Premessa necessaria: da cosa deriva la sopravvalutazione? Dall'aver venduto 38 fantastilioni di copie con meriti artistici discutibili? no, alcuni gruppi hanno un bacino di ascolto maggiore di altri ed il grande pubblico non sempre premia l'arte. Che le Spice Girls vendano di più dei Gravenhurst rientra nella natura delle cose e non necessariamente significa che le Spice Girls siano sopravvalutate. Poi, una carriera chilometrica porta artisti particolarmente longevi a rendere di più al botteghino di gruppi sbandati dopo l'esordio. Bisogna anche tenere conto di quanto il mercato musicale si sia ampliato, e mentre una volta se volevi conocere, che so, i Beatles, per citare un gruppo semisconosciuto, o li ascoltavi su vinile di un amico o li andavi a vedere dal vivo nei pochi concerti, oggi anche i Bastard Sons of Dionysos hanno, tra myspace e last.fm, video e moltiplicazione dei concerti (ormai è tutto un festival, da Roskilde a quello di Tricase), iTunes e ospitate televisive, delle possibilità di marketing inesistenti fino a poco tempo fa. Chi ha più di 20 anni ricorda tempi belli in cui la pubblicità la si faceva ai fustini di detersivo e non all'ultimo, "imperdibile" album di Tiziano Ferro.
La sopravvalutazione, IMHO (in questi tempi di acronimi..), deriva dall'essere creduti o dal farsi credere portatori di valori musicali, artistici, sociali che non si hanno. Ti spacci per il portavoce di una generazione? sei considerato il genio inventore di 3 o 4 generi musicali? rilasci una sola intervista all'anno e solo al New Yorker? beh, se poi non piazzi lì un album meraviglioso e sofisticato, originale e di grande attualità, la diagnosi di sopravvalutazione si fa più probabile.
Ed è ancora più probabile per quei gruppi che magari affondano le radici in altre epoche (i favolosi anni 60, i favolosi anni 70, i favolosi anni 80, i favolosi anni 90, abbiamo sempre vissuto nelle favole ma io di fatine non ne ho mai incontrate) e che oggi sono ancora in circolazione, anche grazie all'ennesima operazione di revival. Ecco che il battage pubblicitario batte la grancassa per gente imbolsita, stanca e senza più niente da offrire alla platea se non i gloriosi trascorsi, attrubuendogli meriti ormai ampiamente demodè. Finita la tirata, passiamo agli idoli.
Sono stati appesi nella mia cameretta per un lustro, assieme ai Beatles, a Stenmark e a Bettega, a rappresentare i turbamenti adolescenziali, nel poster preso da High tide and green grass. Sono stati equivocati per essere l'icona della carnalità, grazie all'adesivo con la linguona che decorava metà delle 2CV e delle Dyane, ai testi ammiccanti ora al sesso ora al diavolo in persona. E come nel film "Il mio amico il diavolo" (peter cook e dudley moore, meraviglioso) si scopre che il diavolo è davvero un tizio qualunque. A dispetto di tutte le pagine sprecate a spiegarci che i Beatles erano l'ala pulita se non sdolcinata della gioventù inglese (infatti McCartney è finito dentro per droga a 40 anni..) e i Rolling Stones la faccia sporca e viziosa, questi ultimi rimangono soltanto una discreta blues-band i cui numeri migliori, per evidente paradosso, sono saltati fuori quando il ritmo si è placato e gli amplificatori spenti. Play with fire, As tears go by, Lady jane, Ruby tuesday, She's a rainbow, Paint it black sono oggi ancora ascoltabili e gradevoli mentre le più diaboliche Jumping Jack Flash o Sympathy for the Devil (tanto per non addentraci negli ingloriosi anni 70 degli Stones, con il caramelloso e indigeribile budino di Angie) sembrano vecchie e datate come una foto in kodachrome. E con l'andare degli anni, impersonare i maudits che celebrano nozze sataniche e ambiguità sessuale è diventato sempre più difficile, con l'inevitabile conseguenza che le facce rugose si sono fatti sempre più ridicolmente aggressive e le capigliature, al limite del posticcio, sempre più incongrue. I Rolling Stones non hanno cambiato il mondo e neppure la musica, hanno fatto un bel malloppo di belle canzoni. Sono stati trasgressivi nelle pose e nella condotta, molto più composti e di maniera nella loro discreta arte. Sono diventati ricchi con produzioni mediocri e ricchissimi con album pessimi, oggi fanno tristezza mentre trascinano in giro il loro cadavere. Sarebbe ora che noi la si smettesse di venerarli come eroi maledetti e musicisti eterni, e si tornasse ad ascoltarne il meglio.

mercoledì 13 gennaio 2010

I sopravvalutati: The Cure – “la trilogia dark”

Perché se si decide di essere iconoclasti, la cosa più salutare è sicuramente iniziare dai propri idoli.
Si navigava nel luccichio degli anni ’80, quelli fatti di spalline imbottite, pantaloni che lasciavano intravvedere il calzino, capelli lunghi dietro e corti ai lati, yuppies e piumini, batterie elettroniche e synth (Yama DX7, un mito) e tutte quelle cose lì che prima o poi verranno rivalutate in modo da diventare pure loro “favolosi”. Beh, tra tutto quel luccicare e quei colori fluo, spiccava per cupezza la mia di allora band preferita, The Cure.
Loro si distinguevano, ah se erano diversi: niente video allegri, niente breakdance, nessun basso suonato col pollice (“sleppare”, si dice “sleppare”!), nessuna copertina su Ragazza In, nessuna foto ufficiale ai caraibi, nessun video su MTV.
Oddio, nessun video… almeno fino a Close to me. Ma lì è dopo, sono diventati commerciali. Via dunque, anatema, si sono venduti!!!
E si diede inizio al rito dell’erano-meglio-i-primi-album.
Si perché la trilogia dark, il trittico Seventeen Seconds-Pornography-Faith era meraviglioso, altro che quella roba commerciale. Vera sofferenza artistica, vera ansia creativa, vero spleen esistenziale, vero viaggio nell’oscuro.

Stronzate.

Con quei tre album (ricordiamo: 1980-81-82) i Cure si fecero la fama di alfieri del dark, pionieri della new wave oscura, inventori di un genere, paladini della musica dalle tinte fosche.
Balle.
Era pop, solo pop.
Pop dei più semplici, senza invenzioni eclatanti, senza dissonanze, senza deviazioni dai 4/4, tutto pulitino e ordinario, per non dire proprio banale. Le atmosfere (leggi: gli arrangiamenti), quelli sì, in effetti erano abbastanza suggestivi e qualche merito occorre riconoscerlo, ma di qui a farne gli inventori di un genere ce ne corre. Tutto quel che fecero fu trasformare un fenomeno sotterraneo (underground si diceva allora) in una moda pop, semplicemente una delle tante divise che si indossavano in quei periodi.
Ora, non che io abbia niente contro il pop, ci mancherebbe. Anzi, pur non essendo in questo periodo esattamente nelle mie corde, ne riconosco sia valore che esempi sublimi. Però, diciamocelo, il pop è il genere più facile da digerire, da diffondere. Da vendere, insomma.
Quindi quello che mi fa schiumare di rabbia è l’atteggiamento di chi da un lato lo snobba (“pop noi? Ma vaffanculo, noi siamo alternativi, a noi il pop ci fa schifo!”) mentre dall’altro lo utilizza ruffianamente per rimpinguare il proprio conto corrente. E anche su questo non ho nulla in contrario. Sono le due cose insieme che non riesco a tollerare.
Mi è capitato infatti di riascoltarli recentemente (ne avevo parlato qua) e mi sono cascate le braccia. Voglio dire, avevo a malapena 15 anni, avevo appena accantonato i dischi dello Zecchino d’Oro, stava iniziando uno dei momenti più esplosivi della diffusione musicale (radio private, ma soprattutto i video) e si veniva bombardati da Duran e Spandau, Wham! e Madonne, per cui non potevo non pensare che quella gente vestita di nero che faceva musica malinconica non fosse qualcosa di veramente diverso. E un po’ lo erano, sì, ma davvero solo un po’. Visti dalla distanza degli anni e delle successive scoperte musicali, tutta quella roba lì, compresi i Cure, si confonde in un unico grosso minestrone.
Pop.
Però mentre un George Michael qualunque non faceva lo schifiltoso e ammetteva tutta la sua pop-itudine (“pop noi? Ma certo, noi siamo pop(oular), noi col pop ci vogliamo fare un sacco di soldi!”), questi qua cantavano di bambine orfane, di atmosfere tetre, di funerali e di foto sbiadite, ma poi, a metterla su uno spartito, si trattava sempre della stessa fuffa.
Solo l’arrangiamento cambiava, come dire la confezione.

Ah, a proposito di erano-meglio-i-primi-album: ora penso che il primo loro disco (Three Imaginary Boys, 1979) sia il loro più bello. Ai tempi ne apprezzavo giusto una canzone o due, ora mi pare che sia stato il loro unico momento davvero originale.

martedì 12 gennaio 2010

Ciao Lhasa...


Scopro tristemente oggi che il 1° gennaio è morta Lhasa. Lhasa De Sela era una musicista statunitense di nascita, messicana di adozione, che viveva in Canada dopo aver girovagato con i genitori fricchettonissimi (l'hanno chiamata come la capitale del Tibet, una sorella si chiama Sky) peregrinando sullo scuolabus trasformato in abitazione tra Stati Uniti e Messico. Ha pubblicato 3 dischi in cui le influenze latinoamericane si sposavano con la strumentazione country e cajun e con venature jazzistiche sperimentate nella francofona Montreal. Parlava e cantava in 3 lingue, Lhasa, con una voce sensuale e ruvida, e scriveva con Yves Desrosiers delle canzoni belle, romantiche il giusto, con delle liriche ricchissime sotto l'apparente semplicità da far pensare che avesse un debole per Garcia Lorca. Se ne è andata a 37 anni, per un tumore con cui ha lottato, per perdere, come molti.
Ciao, Lhasa querida, ti ricordo con una canzone sul ricordare, El árbol del olvido, l'albero dell'oblio.

En mi pago hay un árbol,
Que del olvido se llama,
Donde van a consolarse,
Vidalita,
Los moribundos del alma.
Para no pensar en vos,
En el árbol del olvido,
Me acosté una nochecita,
Vidalita,
Y me quedé bien dormida.

Y al despertar de aquel sueño,
Pensaba en vos otra vez,
Pues me olvidé de olvidarte,
Vidalita,
En cuantito me acosté.

e adesso via con la bile! I 5 album più sopravvalutati della Storia


Evviva! Qualcuno finalmente l'ha detto! Come il rag. Fantozzi a proposito del capolavoro di Ejszenstein (o come cazzo si scrive...), così Luca, sempre sia lodato, coraggiosamente ci spiega che The Dark Side of The Moon, è un album sopravvalutato. E io aggiungo, codardamente secondo, è un album barocco e supponente, pomposo e vuoto, assolutamente sopravvalutato, che vale come constatazione di decesso dei PF migliori. Un album buono per irretire i pischelli, suscitare emozioni da cameretta prima dell'interrogazione di italiano, inquinato da trovatelle banali come l'intro con il cuore battente spacciate per genio, la pseudopoesia finale di Eclipse, in cui persino il buon Wright, abituale compositore di gradevoli ballatone pianistiche (questa, ad esempio, è celestiale), si lascia andare ad un caso di incontinenza musicale e propone il polpettonissimo di The Great Gig in the Sky, col famoso e vacuissimo vocalizzo della meteora Clare Torry che tanti adolescenti ha fatto tremare. Ma se a vendicare la pompa dei Pink Floyd ci ha già pensato Tony Tammaro, - vedi la foto - piccolo eroe partenopeo della controcultura, perchè non scatenarci in una biliosa compilation, la top five degli album (o potremmo farla, pourquoi pas, dei gruppi) più sopravvalutati della storia? Allora, fuoco alle polveri...

lunedì 11 gennaio 2010

Doping

Dilettandomi con la corsa, vengo a sapere che alla maratona di New York, forse la maratona più sognata da qualsiasi corridore del mondo, è vietato l'uso di lettori mp3 durante la corsa.
Avere musica che pompa nelle orecchie è equiparabile a un doping, questo è il motivo.
Questo regolamento aprirebbe una bella discussione su cosa sia da considerare doping, quale sia cioè una definizione generale che permetta di distinguere ciò che è doping e ciò che non lo è. Perché in effetti a basarsi sulla sola affermazione "sostanza che permette di migliorare le prestazioni sportive", si includerebbe pure l'acqua. E in effetti questa distinzione non è semplice, per cui alla fine, invece che utilizzare una definizione astratta, ci si affida a delle liste di sostanze proibite.
Così alla NY Marathon non hanno fatto altro che aggiungere i lettori mp3.
Vabbè, chissenefrega su questo blog, direte.
No, è solo perchè ho trovato questa canzone, che è già piuttosto tamarra di per sé e che per di più è stata remixata da un diggei piuttosto tamarro.
Il risultato è una cosa che senza ombra di dubbio è talmente potente che a pomparselo nelle orecchie sarebbe capace di farti volare, altro che doping.
Si tratta di Brazen (Weep) degli Skunk Anansie remixata da Paul Oakenfold.
Sentite che roba (ma sentitela a volume molto alto) e pensate di stare correndo:

venerdì 8 gennaio 2010

MdD (Marco) fuori tempo massimo anche io.... Barenaked Ladies, Maroon



Luca, vero spirito guida scrive di un disco dimenticato nella compilazione del listone decennale. Ci rimugino, penso a mie eventuali omissioni, controllo le date di pubblicazione e...opperlamiseria! ho dimenticato il mio album di poppino intelligente e garbato, gradevole e raffinato, riascoltato con gran soddisfazione sin dal 2000. Barenaked Ladies (alla lettera le donne proprio nude, ma qui di sesso non si parla), Maroon. Questi ragazzi canadesi non hanno pregi particolari se non quello, non secondario, presente almeno in questo album, di non avere difetti. Suonano bene, pulito, hanno fantasia, sanno scrivere canzoni, cioè quelle cose con una bella strofa ed un bel ritornello, e pure originali, due belle voci, due belle chitarre, testi decisamente intelligenti con occasionali divagazioni surreali. Addirittura pare che Sir Paul McCartney abbia detto (vedi qui) che i BNL abbiano armonie vocali che i Beatles si sognavano. Oddio, contraddire Macca è dura, però...Non sono sempre stati così bravi, i primi album (Gordon, Maybe you should drive), pur con alcune chicche, che so If I had 1000000 dollars, palesavano dei limiti nella scrittura dei pezzi, che risultavano un pò contorti. Invece Maroon si lascia ascoltare dall'inizio alla fine, passando attraverso tutte le sfumature del pop. Dalle tumultuose "Falling for the first time", "Never do anything" e "Go home" alle meditate "Baby seat" e "Conventioneers", dalle melodie accattivanti di "Pinch me" e "Humour of the situation" (che una voce vuole che sia stata registrata dai musici completamente nudi, mah...) le canzoni convincono sempre. Anche se canadesi, le venature prettamente yankee affiorano chiaramente sia in "Sell sell sell", in pieno stile fifties con cantato presleyano che in "Tonight Is the Night I Fell Asleep at the Wheel", ironico lento con cui si conclude (formalmente, c'è una graziosissima hidden track) l'album. Tre quarti d'ora di musica ironica, garbata, originale e ben confezionata. Quando volevamo tutto e lo volevamo subito avremmo forse chiesto di più, oggi mi basta e avanza.

The Flaming Lips and Stardeath and White Dwarfs with Henry Rollins and Peaches Doing the Dark Side of the Moon

Si, lo so che sto assumendo le sembianze del Piccolo fan, ma questi qua sono in un periodo di esplosione creativa come non mai, e a me piacciono un sacco, per cui quando ne combinano una (e ne combinano una dietro l'altra) mi viene spontaneo raccontarlo qua.
Lo so, è una excusatio non petita, ma giuro che non ho la loro maglietta. E neanche un poster in cameretta. E francamente a memoria conosco solo il nome del cantante.
Sì, proprio quello, l'albumone dei Pink Floyd, quello che ha venduto un fantastiliardo di copie. Quello perfetto, quello che ancora oggi si usa per testare la bontà degli Hi-Fi (che di album prodotti così non se ne fanno più, cara signora...), quello che inizia col cuore che pulsa, quello col prisma in copertina.
Quello lì, insomma, TDSOTM.
E i Flaming Lips che del reato di lesa maestà se ne fottono sonoramente, l'hanno rifatto tutto, canzone per canzone, con la complicità di Henry Rollins e Peaches.
E ne è venuto fuori un gran bel disco, finalmente.
Si, finalmente, perché a me francamente l'originale, quello là, aveva davvero rotto le palle.
Il sax à la Fausto Papetti in Us and Them è una cosa rivoltante, e quell'aria leccatina e pulita me lo rende più freddo e indigesto della cucchiaiata di marmellata presa in frigo appena sveglio. Bleah.
Marco nel suo post sulle parole detestabili o abusate in ambito musicale aveva omesso sopravvalutato.
Ecco ora lo dico:
The Dark Side Of The Moon è uno degli album più sopravvalutati di tutti i tempi.
Via, l'ho detta. E ora saltatemi pure addosso.

E invece in questa versione che gli leva lucentezza e levigatezza, ridonandogli un'aura più sanguigna e psichedelica (come i primi album dei Pink Floyd, ah, signora mia, i primi album, quelli sì, signora mia...), sgonfiandolo di quell'aria insopportabilmente pomposa, TDSOTM torna ad essere un disco che merita veramente di essere ascoltato.
Meglio i Flaming Lips che i Pink Floyd, dunque? Andiamoci piano, l'idea originale è comunque degli inglesi e il merito creativo rimane sostanzialmente loro. Ma se la re-interpretazione ha un valore in sé, allora gli sballati americani hanno fatto centro in pieno.
E poi anche solo per avere tolto dalle palle quell'insopportabile sax.

A già, dimenticavo l'ulteriore ragione che mi rendeva quel disco indigesto: LA LUNA NON HA UN LATO SCURO!!!!

giovedì 7 gennaio 2010

MdD(luca): fuori tempo massimo #1

Mi succede sempre così: quand’è ora di compilare i listoni (in genere quelli di fine anno) con The Best of…, vado pure a sbirciare gli elenchi altrui (siti, webzines, blog, newsgroup, riviste… e ultime solo in ordine di tempo, le segnalazioni degli altri autori qui dentro) e mi capita di fare ulteriori fondamentali scoperte.
Il fatto è che naturalmente non ho modo né tempo di stare dietro a tutto quello che esce in un anno e queste liste le trovo preziosissime per scovare delle autentiche chicche che mi erano sfuggite nelle innumerevoli segnalazioni che arrivano dalle stesse fonti durante l’anno.
Per cui mi ritrovo, dopo avere compilato la mia classifica, a scoprire album che in questa lista ci sarebbero entrati di pieno diritto. E quindi o ribalto la classifica o lascio perdere. In genere lascio perdere (e infatti ho poi smesso di farle), ma almeno mi godo le nuove chicche.
Chiaro che con il listone del Meglio del Decennio le cose si amplificano ulteriormente, essendo molti di più gli ascolti definiti imprescindibili che invece mi sono perso.
In questo caso però devo fare una considerazione un po’ diversa: se il MdD è ciò che io considero significativo per me in 10 anni, per quanto belli siano i dischi che d’ora scoprirò, non potranno mai entrare di diritto lì dentro, non essendo ascolti che mi hanno deliziato tra il 2000 e il 2009.
Una menzione particolare però se la meritano, e con questo post voglio iniziare almeno a citarli.
Via:
The Microphones – The Glow pt.2
Folk-rock strambo, deviato, sghembo e folle. Per il sottoscritto seducente e affascinante come pochi altri. Già solo il fatto che questo pt.2 non sia il seguito di un bel niente...
Melodie intriganti galleggiano su strutture scomposte e rumorose, una sorta di Neutral Milk Hotel, ma ancora più anomalo, poi in altri momenti, tutto viene sussurrato, ma sempre in un modo strano, come se si avesse paura di farlo troppo pulito, poi il rumore esplode ed è shoegaze, ma anche in questo caso lo si sporca (si può sporcare un genere distorto come lo shoegaze? Si può, fidatevi), poi si mette un pulsare fuori tempo sotto la melodia, ma non da fastidio, è strambo, ma ci sta. E così via.
In casi come questi, mi raffiguro l’immagine dell’artista che agguanta il giocattolo (in questo caso quello del folk-rock) e inizia a prenderlo a mazzate, contorcendone l’aspetto, deformandolo e scassandolo, ma lasciandolo ancora per poco riconoscibile, tra momenti intimi e delicati e esplosioni di energia sporca e distorta (il padre di questo ‘metodo’ fu il grandissimo Capt. Beefheart, e mi si perdoni l’accostamento).
Ecco, questo è quello che ha fatto Phil Elvrum nelle 20 canzoni per un’ora abbondante di musica di questo album bellissimo.

lunedì 4 gennaio 2010

MdD (Marco) Sono rimasti fuori e non so bene perchè..

Mi accodo a Luca nel celebrare gli esclusi dal listone del decennio, con lo sguardo interrogativo di chi non sa bene perchè ha scelto l'uno e non l'altro. Comunque mi hanno coccolato le orecchie (ed in parte il cuore) dal 2000 a oggi, come sempre in ordine sparso:

Robert Wyatt - Cuckooland
Rosapaeda - In forma di rosa
Piccola Banda Ikona - Marea cu sarea
Leonard Cohen - Ten new songs
Barenaked Ladies - Maroon
Anouar Brahem - Le voyage de Sahar
Keren Ann - La disparition
David Rovics - Halliburton Boardroom Massacre
Sulutumana - Di segni e di sogni
Sondre Lerche - Two way monologue
Attila the Stockbroker - Zero tolerance
Davide Van De Sfroos - .. e semm partii
Fabularasa - En plein air
Savina Yannatou - Terra nostra
Ska-P - Incontrolable
Les Anarchistes - La musica nelle strade
Peter Hammill - Incoherence
David Krakauer - A new hot one
Vassilis Tsabropoulos and Anja Lechner - Melos
Eleni Karaindrou - The weeping meadow
Cantodiscanto - Malmediterraneo
Francoiz Breut - Vingt a trente mille jours
Yann Tiersen - Goodbye Lenin
Eddie Vedder - Into the wild
AA. VV. - Badlands - A tribute to Bruce Springsteen's Nebraska
Emiliana Torrini - Me and Armini
The Mummers - Tale to tell
Banda Bassotti - Asì es mi vida
Robyn Hitchcock - Goodnight Oslo

Sono rimasti fuori SOLO perchè usciti a fine 99 e affettivamente appartengono a questo decennio trascorso

Armand Amar - La traversée
Idir - Identités

MdD #10 (Marco) Antony and the Johnsons, quello che volete

Se c'è qualcuno che ha rivalutato il ruolo del bel canto in un epoca ipertecnologica questo è proprio l'inquietante Antony Hegarty, ben supportato dai suoi vagamente goticheggianti Johnsons. Anche in virtù del troppo breve ma intensissimo concerto con l'orchestra del Regio, avevo deciso che uno dei loro album sarebbe entrato nella mia top ten, ma il tempo e l'indecisione sono stati tiranni e non ho saputo scegliere prima dei botti di Capodanno. Allora, addentriamoci in questo nuovo decennio con un primo atto di non-definizione, quasi di scarico di repsonsabilità. Sceglietelo voi quale è l'Antony migliore sinora. Il primo omonimo, embrionale e melodico, con le ballate sepolcrali di Rapture e River of Sorrow? il secondo, l'arcinoto "I am a bird now", inserito pure da "Repubblica" (che ci ha copiati) nei candidati a disco del decennio, con le accelerazioni di Hitler in my heart o Cripple and the starfish? O, perchè no, il più meditato "The Crying Light" con le piccole gemme di Kiss my name e Epilepsy is dancing? Fate voi, io non so scegliere.

sabato 2 gennaio 2010

MdD(luca): gli esclusi

Quello che mi ha portato a stilare la classifica del Meglio del Decennio è stato un processo non solo arbitrario, ma pure un po’ doloroso, per i tanti album che ho dovuto escludere. Dieci anni sono tanti, e di musica se ne ascolta tanta, e quella emozionante è pure tanta, e pure il tempo è tanto, sufficiente a cambiare gusti musicali.
E così viene fuori che 10 album siano davvero troppo pochi. In questo post voglio almeno citare quelli che sono stati esclusi dopo la prima selezione, quelli che ho tenuto fuori dalla lista solo perché mi ero imposto il limite di 10, ma che magari se l’avessi stilata in un momento diverso, ci sarebbero anche potuti entrare.
  • Animal Collective - Feels - 2005
  • Antony And The Johnsons - Antony & The Johnsons - 2000
  • Antony And The Johnsons - I Am a Bird Now - 2005
  • Arab Strap - Monday At The Hug And Pint - 2003
  • Bachi Da Pietra - non io - 2007
  • Baustelle - Amen - 2008
  • Beth Gibbons & Rustin Man - Out Of Season - 2002
  • Björk - Vespertine - 2001
  • Blonde Redhead - Misery Is A Butterfly - 2004
  • Cat Power - You Are Free - 2003
  • cLOUDDEAD - Ten - 2004
  • Current 93 - Black Ships Ate The Sky - 2006
  • Eels - Blinking Lights And Other Revelations - 2005
  • Grizzly Bear - Yellow House - 2006
  • LCD Soundsystem - LCD Soundsystem - 2005
  • Lightning Bolt - Hypermagic Mountain - 2005
  • Low - Trust - 2002
  • Micah P. Hinson - Micah P. Hinson and the Red Empire Orchestra - 2008
  • Neutral Milk Hotel - In The Aeroplane Over The Sea - 2005
  • Okkervil River - The Stand Ins - 2008
  • Oneida - Rated O - 2009
  • Panda Bear - Person Pitch - 2007
  • Pere Ubu - Why I Hate Women - 2006
  • Pontiak - Maker - 2009
  • Portishead - Third - 2008
  • Radiohead - Amnesiac - 2001
  • Radiohead - Hail to the Thief - 2003
  • Shannon Wright - Let in the Light - 2007
  • Talibam! - Ordination of the Globetrotting Conscripts - 2007
  • Talibam! - Boogie In The Breeze Blocks - 2009
  • The Books - Lost And Safe - 2005
  • The Fiery Furnaces - Blueberry Boat - 2004
  • The Fiery Furnaces - Bitter Tea - 2006
  • The Liars - They Were Wrong So We Drowned - 2004
  • Throbbing Gristle - Part Two - The Endless Not - 2007
  • Tool - Lateralus - 2001
  • Tv On The Radio - Desperate Youth, Blood Thirsty Babes - 2004
  • Vic Chesnutt - North Star Deserter - 2007
  • Volcano! - Beautiful Seizure - 2005
  • Why? - Elephant Eye Lash - 2005
  • Why? - Alopecia - 2008
  • Woven Hand - Ten Stones - 2008