giovedì 23 settembre 2010

Grinderman - Grinderman 2

Per conto mio, per un musicista che è stato “grande”, esistono fondamentalmente due modi per invecchiare, uno cattivo e uno buono.
Il primo, che è, ahimè, il più seguito è quello dell’inseguimento del successo a tutti i costi, misurato in termini esclusivamente quantitativi (leggi: soldi) a scapito di qualsiasi velleità qualitativa. La star vuole continuare ad essere una star, e per fare questo deve vendere miliardi di copie dei suoi cd, deve riempire stadi con miliardi di persone che paghino biglietti dai prezzi esorbitanti per mantenere in piedi carrozzoni colossali dai costi colossali. E per fare questo si devono fare campagne promozionali martellanti, manifesti giganteschi, comparsate in TV, presenza nei tigì, poster, dvd, heavy rotation in radio, riviste, interviste, scandali sessuali, paparazzi, gossip, matrimoni, risse e ubriachezze. E dato che tutto questo costa a sua volta tantissimo, non c’è scampo: le vendite di tutto ciò che si può vendere (non solo i CD, quindi) devono raggiungere dei volumi mastodontici, altrimenti il bilancio va in rosso e tutti a casa (e quei “tutti” sono una quantità a sua volta spaventosa di persone).
In tutta questa sarabanda sembra che la musica diventi un dettaglio quasi insignificante e in effetti è così, ma solo quasi, non del tutto. La musica va sullo sfondo, in sottofondo come quella nei supermercati, deve essere sempre non-disturbante sia nel senso basso (non deve cioè fare troppo schifo) che nel senso alto, cioè non deve rischiare di diventare una questione troppo complicata da disorientare quella massa di pubblico ai cui portafogli si sta mirando. In questa zona di equilibrio tra i due estremi la star si crogiola dunque beatamente, più attenta al look e all’immagine in generale che alla musica che produce.
Chi come noi (plurale non tanto maiestatis quanto comprendente i frequentatori a vario titolo di questo blog) tende ad impipparsene dell’immagine, al punto da non sapere bene neanche che faccia abbiano alcuni dei propri artisti preferiti, si ritrova quindi ad avere in mano, o anche solo nelle orecchie, della musica concepita più come contorno che come piatto principale.
E smadonna.
Perché, oltre a essere musica di lega veramente bassa, ricordo che sto parlando di musicisti che un tempo furono “grandi” e su di cui le aspettative continuano a rimanere tutt’ora legittimamente alte.
E non si pensi che il discorso valga solo per quei gruppi in grado da fondare dei veri imperi mediatici (via, facciamo un esempio: U2), ma pure per tutti quelli che ne hanno l’atteggiamento e che a quei livelli non ci arrivano solo perché non ci riescono, mica perché non vogliano, ma che comunque continuano a galleggiare su melodie commercialotte per sbarcare il lunario di una quanto più possibile agiata senescenza (un altro esempio: Pinodaniele).

Esiste poi il secondo modo di invecchiare, quello buono.
In questi casi l’Artista, che ha capitalizzato una fortuna sulla propria arte, si ritrova con l’invidiabile possibilità di poter reggere da solo la barra del timone, o, più prosaicamente, a poter fare il cavolo che gli pare. E lo fa.
Ma lo fa da artista, da uno che dimostra di amare quello che ha sempre fatto, che ci crede, che pensa che dal frutto della musica si possa spremere ancora qualcosa di prezioso, di raro. E si impegna per farlo, trova piacevole o almeno interessante dedicarsi anima e corpo a inventarlo, a creare. Con buona pace del pubblico, se non gradisce. E delle case discografiche e dei negozi e delle riviste e di MTV.
S’intenda: non sono così ingenuo da pensare che a questi signori il successo non interessi, ci mancherebbe. Però sentendo certe cose viene proprio da pensarlo, anche se forse sotto sotto c’è un comunque un’ambizione di successo, solo che è giocata su tempi un po’ più lunghi, più piccola in termini immediati, ma più duratura. La gloria eterna, insomma. Come quell’album là della banana, venduto inizialmente a poche centinaia di persone, ma ancora considerato dopo quarant’anni un capolavoro assoluto.

Questi personaggi sono rari, ma per fortuna ci sono. E oggi mi rendo conto che questa categoria ha a sua volta due sfumature.
(Il discorso sta diventando macchinoso, lo so, ma sono quasi arrivato al punto)
Semplificando, la prima sfumatura è quella dell’Artista che decide di sperimentare, di battere nuovi sentieri. Le cose diventano ostiche, difficili da digerire, quasi incomprensibili, ma non importa, lui prova a indicare una direzione diversa, poi se porterà da qualche parte, bene, altrimenti chissenefotte. Un esempio: David Sylvian. Provate ad ascoltare i suoi ultimi lavori.
L’altra sfumatura è quella in cui l’Artista decide di divertirsi, di giocare con la propria abilità e competenza e fare di getto ciò che più gli piace, anche in questo caso fottendosene non solo di tutto il carrozzone commerciale di cui sopra, ma pure della critica più cerebrale, quella che si sdilinquisce per l’altra sfumatura (quella sperimentale) che gli permette di compiacersi di ascoltare roba indigeribile a chiunque.
Questi qua possono per esempio imbracciare una chitarra e mettersi a urlare in un microfono come facevano nel garage prima di diventare le star che sono diventati. E piegarsi dalle risate al termine di un pezzo, euforici per essere riusciti a esprimere un’energia che pensavano di avere esaurito. E dato che sono musicisti coi fiocchi, il risultato di questi sfoghi può essere davvero buono, ottimo. In questo caso l’esempio è proprio quello in questione: Nick Cave.

Per quanto mi riguarda Nick Cave è un Grandissimo (superlativo e maiuscola intenzionali), c’è tutta una discografia a testimoniarlo, con tanti alti e pochi bassi, ma sempre a un livello impensabile per quasi chiunque. Ultimamente (dal 2006) ha dato vita al progetto Grinderman che di fatto è una costola dei Bad Seeds (i tre elementi oltre a Cave fanno parte dei BS, tanto da essere soprannominati i mini-Seeds), con cui Cave riprende certe sonorità vicine ai suoi esordi con i Birthday Party, cioè in poche parole, roba sporca e cattiva. Un rock molto in linea con l’idea di sangue+sudore.
Questa linea è stata seguita soprattutto nel primo lavoro, l’omonimo Grinderman. In questo album, semplicemente Grinderman 2, i toni si sono appena appena mitigati, ma l’approccio impulsivo rimane fondamentalmente lo stesso.
Pezzi molto duri (Evil), altalene emotive tra quiete e tempesta (Mickey Mouse And The Goodbye Man), tenui ballate degne di Springsteen epoca Nebraska (What I Know), qualche concessione più morbida (Places of Montezuma), slanci corali ed elettrici (Bellringer Blues) sono alcuni degli ingredienti che compongono questo gustoso piatto, tutti accompagnati dalla voce magicamente espressiva di Cave che in questa formazione suona anche la chitarra.
In poche parole, quando la classe c’è, ed è tanta, basta lasciarla libera di sfogarsi. I risultati non possono che essere magnifici.
Lunga vita.

mercoledì 22 settembre 2010

Antony and the Johnsons - Thank You For Your Love EP

Il nuovo album di Antony Hegarty e i suoi Johnsons uscirà il prossimo 5 ottobre, e questa è già una bella notizia.
Nel frattempo è appena uscito questo EP che ne anticipa un brano (la title-track) e che contiene altri 4 pezzi, di cui 2 sono cover, una di Bob Dylan (Pressing On) e Imagine (sì, quell’Imagine là).
Per quel che mi riguarda i pezzi meno belli sono proprio Thank You For Your Love e Imagine.
Gli altri, come quasi sempre succede quando Antony ci mette lo zampino (e soprattutto la voce), sono dei piccoli deliziosi gioielli.

martedì 21 settembre 2010

Podcast 02

Il vero senso di questo tentativo di podcast, al di là dell'esperimento iniziale della volta scorsa, è quello di pubblicare una raccolta delle cose più fruibili tra quelle che ho ascoltato ultimamente.
Si noti, fruibili, non il meglio di. E per me la differenza, se frega a qualcuno, sta nel fatto che io sono il primo a non credere molto nei singoli, o nei "best of".
Non so se ne ho già parlato -nel caso mi scuso per la ripetizione-, ma io ho un approccio piuttosto rigido all'ascolto degli album musicali: per me un CD va ascoltato nella sua interezza, dall'inizio alla fine, senza salti, cambi di ordine, ripetizioni, partenze a metà e così via. Cioè si mette il CD nel lettore, si schiaccia PLAY e lo si ascolta fino alla fine. Solo dopo ripetuti ascolti si è autorizzati a skippare quel che proprio non ci piace o andare a beccare il brano che più ci garba.
Sono infatti piuttosto convinto che un album sia un prodotto unitario, frutto di un certo lavoro e che pure l'ordine dei brani sia una scelta ponderata dall'artista con un suo significato non casuale e quindi credo che, per poterla correttamente valutare, un'opera debba essere fruita come l'artista la propone.
Poi naturalmente esistono miriadi di eccezioni, sia da parte mia che degli artisti che confezionano il CD, per cui non sono sempre così intransigente, ma il mio approccio in genere è proprio quello: PLAY e ascolto. E basta. Pure sorbendomi i passaggi sgraditi, come in un film in cui non è detto che i momenti di stanca non siano funzionali all'opera nel suo insieme.
Una conseguenza di questo modo di ascoltare la musica è che non sempre c'è coincidenza tra quelli che io reputo i momenti migliori di un album (che magari consistono nella sequenza di due o tre brani) e le canzoni che più volentieri potrei voler divulgare singolarmente.

Detto questo, qui di seguito violo il mio approccio offrendo un assaggio delle cose che ho sentito, suggerendo poi a chi dovesse fare qualche gradita scoperta, di procurarsi il CD e di ascoltarselo tutto, dall'inizio alla fine.
PLAY e ascolto.

La lista dei brani:
1-Danger Mouse and Sparklehorse - Little Girl (2010)
2-Angus & Julia Stone - For You (2010)
3-The Black Keys - Too Afraid To Love You (2010)
4-Arcade Fire - The Suburbs (2010)
5-Perturbazione - Cimiterotica (2010)
6-Laurie Anderson - My Right Eye (2010)
7-Current 93 - The Nudes Lift Shields for War (2010)
8-M.I.A. - Tell Me Why (2010)
9-!!! - Jump Back (2010)
10-Blonde Redhead - Love Or Prison (2010)
11-Chumbawamba - Voices, That´s All (2010)
12-The Books - We Bought The Flood (2010)

E il podcast:

Grinderman

Nick Cave è un Grandissimo.
È uscito il suo nuovo lavoro a nome di Grinderman, ed è davvero una bomba.
Per ora può bastare, ma ne riparleremo senz'altro.

lunedì 20 settembre 2010

Blonde Redhead - Penny Sparkle

I Blonde Redhead sono Kazu Makino, chanteuse giapponese (almeno di origini), sexy come un sospiro di Jane Birkin, e due gemelli italiani (ma canadesi-americani di adozione in tenera età) che suonano e talvolta cantano anche loro (uno di loro, ma son gemelli…).
Sono in giro dall’ormai lontano 1993 e questo è il loro ottavo album.
Anche loro hanno subito nel tempo una netta metamorfosi tra quelle che furono le attitudini iniziali piuttosto rumorose (epigoni dei Sonic Youth, li avevano definiti) e i successivi ammorbidimenti pop.
Quest’ultimo album sancisce infatti definitivamente una deriva verso lidi melodici che era già iniziata qualche album fa, ma che ora appare definitivamente compiuta.
Melodie soffici e orecchiabili, la voce di Kazu, un tempo troppo acuta per qualcuno, ha guadagnato un po’ di profondità, le tastiere e l’elettronica la fanno da padrona, mettendo da parte chitarre e batteria analogica, accenni di ballate e splendidi arrangiamenti, in bilico tra suggestioni anni ’80 (a volte ricordano certe sonorità dei Pet Shop Boys) e sofisticato dream-pop.
Splendido disco da viaggio, in questo periodo di (troppi) viaggi in macchina, riesce a riempirmi i panorami autostradali di tinte tenui e colorate cullandomi, a volte pericolosamente, con le sue atmosfere delicate e coinvolgenti.
Qui sotto un video con un brano di questo album, tanto per farvi un’idea:

giovedì 16 settembre 2010

Victor Jara, in memoriam

Il 16 settembre del 1973 veniva ucciso dai militari di Pinochet Victor Jara. Aveva 41 anni, aveva scritto una marea di canzoni meravigliose, (Luchin, Zamba del Che, Plegaria ad un labrador, e, su tutte, Te recuerdo Amanda) e cambiato in maniera definitiva la canzone latinoamericana.
Prima di fucilarlo gli massacrarono le mani. Perchè questo dettaglio raccapriccianti, che personalmente aborro raccontare? Perchè il dettaglio in questo caso vuol dire tutto. Le mani, con cui Jara suonava e componeva, erano le nemiche prime della repressione, il simbolo della libertà della creazione. Sua moglie Joan scappò dal Cile occultando le matrici con le registrazioni di Victor Jara, che il regime cercava di sequestrare. Grazie quel contrabbando adesso tutti possono conoscere Jara, ed il suo impatto sul mondo musicale è stato assai rilevante. Solo di "Te recuerdo Amanda" ne hanno fatto covers Robert Wyatt, Mercedes Sosa, Joan Baez, i Nomadi,  Daniele Sepe (che a Jara ha dedicato un cd intero) . L'hanno omaggiato gli Ska-P (Juan sin tierra), gli U2 (One tree hill) e i Calexico (Victor Jara's Hands, appunto). A 37 anni dalla morte la sua musica e la sua poesia non sono state offuscate dal tempo, e questo è un mezzo miracolo.

¡Canto que mal me sales Canto, come mi vieni male
cuando tengo que cantar espanto! quando devo cantare la paura!
Espanto como el que vivo Paura come quella che vivo,
como el que muero, espanto, come quella che muoio, paura.
de verme entre tantos y tantos di vedermi fra tanti, tanti
momentos del infinito momenti dell'infinito
en que el silencio y el grito in cui il silenzio e il grido
son las metas de este canto. sono le mete di questo canto.
Lo que veo nunca vi. Quello che vedo non l'ho mai visto.
Lo que he sentido y lo que siento Ciò che ho sentito e che sento
hará brotar el momento... farà sbocciare il momento...



Victor Jara

!!! - Strange Weather, Isn't It?

Leggevo non so dove che inizialmente gli Eels (feconda band di cui è recentemente uscito un nuovo album e di cui converrà parlare) si chiamavano semplicemente E, ma che questo loro nome gli dava problemi nelle organizzazioni dei concerti con molte band:
-Come vi chiamate?-
-E-
-Eh?-
-E-
-Allora, come vi chiamate?-
-Semplicemente E-
-Ok, allora, scriviamo “Semplicemente E”-
-No!-

A questa cosa mi capita spesso di pensare quando ascolto qualcosa dei !!! che come ulteriore difficoltà hanno il fatto che uno si chiede come diavolo si pronunci il loro nome.
Provate ad andare in un negozio a chiedere un loro CD. Io l’ho già fatto e se il commesso che vi da retta non è informato sulla loro esistenza, la situazione si fa davvero spassosa, se non imbarazzante.
-Vorrei l’ultimo dei tre punti esclamativi-
-Eh?-
-Sì, i tre punti esclamativi, sai, la band newyorkese…-
-Non saprei… proviamo a vedere sul pc... Come hai detto che si chiamano?-

Qualcuno dice che il loro nome si pronuncia “Chk chk chk”, grossomodo tre schiocchi di lingua, ma insisto: provate ad andare in un negozio a fare quel verso, e andiamo a ridere.
Loro, i !!!, su questo fatto ci marciano un bel po’ e la cosa li diverte sicuramente, anche perché ormai la fama internazionale che hanno raggiunto gli ha permesso di superare la fase in cui venivano mandati a cagare da chiunque avesse da chiedergli il nome del gruppo. In ogni caso loro dicono che il loro nome si pronuncia con tre suoni a piacere uguali e ripetuti, va quindi bene “Chk chk chk”, ma pure “Pow pow pow” o “Brkst brkst brkst” o “Bu bu bu”, a loro non frega molto e la questione diventa un leitmotiv in ogni intervista che danno.
Inizialmente i !!! facevano un tipo di musica che pure lei ha dato qualche difficoltà alla critica, poi alla fine gli hanno assegnato un’etichetta che avesse qualche parvenza di significato: funk punk.
Tutto in fondo girava intorno ad un singolo, “Me and Giuliani Down by the School Yard (A True Story)”, un pezzo di quasi dieci minuti che all’inizio circolò come singolo e successivamente inserito in Louden Up Now il loro secondo album, il primo pubblicato con un’etichetta importante (Warp, mica ciufole).
Da lì in poi sono state sempre delusioni.
Cioè quel brano era talmente figo, innovativo, provocatorio, multiforme, trascinante e coinvolgente da lasciare sbalordito chiunque ebbe modo di sentirlo. -Se questa band di pischelli- si diceva, -si presenta in questo modo col primo pezzo pubblicato, chissà che sfracelli sarà in grado di fare d’ora in poi-.
E invece, manco a dirlo, nulla è più stato all’altezza di quell’esordio:
Louden up now: sì, sì, bello, ma gli altri brani non reggono il confronto con “Me and Giuliani…
Il terzo album, Mith takes: non male, ma rispetto a Louden up now si sono un po’ sputtanati, scelte banali, commerciali insomma (orrore!!!).
E ora Strange weather, isn’t it?: il tracollo. Cioè, no, non esageriamo, però andiamo maluccio. Troppo dance, troppo facile, dicono.
A me invece questi cazzoni americani continuano a piacere un casino. Sì, e vero, forse Me and Giuliani… costituisce una vetta mai più eguagliata, ma tutto il resto si è continuato a mantenere a livelli elevatissimi. E comunque, che io sappia, il loro modo di suonare è rimasto sempre inimitato. Cioè, se quel genere vi piace, dovete ascoltare loro, non ci sono alternative.
Ma di che genere stiamo parlando, insomma? Si parte, come dicevamo, dal funk-punk, che grossomodo dovrebbe significare qualcosa che come atteggiamento sta al funk come il punk sta al rock, ma senza quella semplificazione. Quindi sono ritmiche e pulsazioni tipiche del funk, ma sporcato da un atteggiamento irriverente e caotico.
Poi i nostri sono migrati verso lidi più dance, i ritmi si sono fatti più regolari, il cantato più pop, l’atmosfera in genere più ballabile. Io li ho visti dal vivo in questa fase e il clima sul palco era davvero festaiolo. L’aggettivo che ho usato qualche riga fa, “cazzoni” assumeva l’accezione più divertente-divertita possibile.
Ora questo ultimo album, sembra essere una sintesi dei due atteggiamenti. Le pulsazioni sono ancora piuttosto dance, ma le sonorità richiamano spesso quelle degli esordi.
Ho avuto modo di ascoltarlo a ciclo diverse volte e sotto una certa pastosità del suono (strati di cori sopra chitarre funk sopra tastiere a tappeto sopra linee di basso pulsanti sopra batteria palpitante) si scopre un modo di fare musica, e che musica, originalissimo e trascinante.
Non è roba da atmosfera, ma neanche da festa, la incasinerebbe troppo, ma sparato a buon volume rimane ancora accattivante e potente come poco altro. Sì, un po’ della fresca e trasgressiva inventiva originaria è andata persa, ma sono passati 10 anni dal debutto, i ragazzotti sono diventati grandi, sarebbe stupefacente il contrario.
Se vi piace questo genere loro ne sono i massimi alfieri. Forse gli unici, ma davvero notevoli.

lunedì 13 settembre 2010

Beck, Velvet Underground and Nico

C'era una volta un disco famoso, con una famosissima copertina, con una banana sbucciabile e dentro alcune dei brani più belli e più inquietanti dell'epoca. Vi si alternavano, volutamente, melodie dolcissime e trasognate (Femme fatale, I'll be your mirror) e tirate elettriche (Black angel death song, European son). Si parlava di luoghi equivoci (Run run run, Waiting for my man), di vizi trascorsi da poco (Sunday morning) ed altripiù che mai attuali (Heroin, Venus in furs). C'era la voce cupa di Lou Reed, quella spettrale di Nico, la viola di John Cale, c'era la monumentale "All tomorrow's parties", torbida ed epica, forse la vera summa delle divergenti pulsioni dell'album. Con quel disco famoso la musica pop abbandonava ipocrisie ed eufemismi per gettarsi esplicitamente nella tossicodipendenza evidente, nella nevrosi conclamata, nella sessualità equivoca. Che ci piaccia o no, tutti siamo un po' debitori a questa pietra miliare, magari non gradevole a tutti, ed alcuni di noi, incluso chi scrive, questo famoso disco bananato lo amano proprio. Ed è proprio un atto d'amore quello compiuto dal signor Beck, che, radunati un po' di amici, ha deciso di rifarlo tutto e pubblicarlo online in download gratuito (sul suo sito oppure qui). E l'amore non si discute, quindi si perdonano al Beck alcune riproposizioni fedelissime (I'll be your mirror, Femme fatale) e alcune cadute (la sua versione di I'll be your mirror non passerà alla storia), e due versioni di Heroin quando una bastava. Ma in tutto l'album si percepisce la devozione del Beck verso il capolavoro che approccia, ed alcune esecuzioni (All tomorrow's parties, Run run run, una stralenta Sunday morning) sono proprio bellissime. Al cuor non si comanda, per fortuna.

mercoledì 1 settembre 2010

Chumbawamba - ABCDEFG, 2010

"Certo che siamo un gruppo punk, facciamo quello che vogliamo, ed allora siamo punk" - Jazz Butcher, circa 1985

Siamo così appassionati dei piatti migliori della cucina Chumbawamba's che talvolta rischiamo di  apprezzarne anche le briciole cadute ed i rimasugli bruciacchiati. Speriamo che non sia così,  anche perchè fortunatamente ci sembra di riuscire a cogliere i limiti di alcune (rare) produzioni davvero indigeste. Forse dovremmo comunque astenerci da recensirli, per non rischiare di cadere in un turbinoso vortice di lodi sperticate, peana devoti ed applausi aprioristicamente entusiasti. Ma al cuor non si comanda ed eccoci a parlare (col solito ritardo) dell'ultimo album dei Chumbas, ormai stabilizzati come quintetto acustico. Dall'esordio a oggi, che fossero in veste techno (Tubthumper e dintorni) o acustica (The boy bands have won) i Chumbas hanno sempre manifestato due doti rare, intelligenza e abilità a scrivere canzoni e ancora non si smentiscono. Anzi, raddoppiano,  e  forse i limiti di questo ABCDEFG stanno proprio nell'essere eccessivamente intelligente e nel loro essere troppo bravi a scrivere canzoni. Possibile? Mmm, sì. Allora, iniziamo col dire ABCDEFG è la scala eptatonica secondo la partitura anglofona (il nostro do-re-mi-fa sol-la-si, per capirsi) e tale titolo rivela l'ambizioso progetto di fare un album di musica sulla musica. Su tutti gli aspetti della musica, dalla gioia del canto al potere palliativo della melodia, dall'anacronismo della filologia musicale all'appropriazione mediatica della tradizione. "Abbiamo passato in rassegna la storia della musica, i suoi aneddoti, i suoi eroi, le sue canaglie. Una cavalcata attraverso svariati secoli per vedere che valore ha la musica e cosa significa per la gente" dice Boff, conscio della pretenziosità della cosa. Se volete una spiegazione brano per brano, necessaria alla comprensione completa dell'album, la trovate qui. E ogni brano, oltre a sfoggiare testi ammirevoli e complessi, si caratterizza per la musica così aderente allo spirirto dell'epoca cui si riferisce. E così "The same so-so tune", ambientata nell'Inghilterra bellica degli anni '40 è un meraviglioso assaggio di musica dell'epoca (charleston? fox-trot? non sono abbastanza studiato per dire..), "Singing out the days" che racconta di soldati al fronte, ha una struttura così perfettamente folk da sembrare autenticamente d'epoca e via discorrendo. Gli episodi più felici, "Wagner at the opera", "Torturing James Hetfield", "Voices, that's all" meritano spiegazioni particolareggiate, magari in posts futuri dedicati. Grande eterogeneità musicale, dunque  grande immediatezza, e come sempre, grandissimi gli impasti vocali. Come detto il limite è proprio che tutto sia un pizzico troppo cerebrale e che la magnifica semplicità di The boy bands have won sia un po' offuscata. Ma chiaramente i Chumbawamba se ne fottono, e restano beati nella loro nicchia, consci che di album così intelligenti ne escono pochi.

Calexico live: aggratis!

A chi piace il genere: i Calexico mettono a disposizione per il download gratuito (o in streaming) una registrazione di un live che hanno tenuto a Nuremberg, in Germania.