martedì 30 novembre 2010

Buon compleanno!

Siamo così intenti a sparare cazzate, a sbrodolare aneddoti e dissennatezze paramusicali, a informare un piccolo mondo delle nostre piccolissime paranoie che non ci siamo accorti che Monsieur le Blog ha compiuto un anno.
E allora

domenica 28 novembre 2010

Zaz - Zaz

Una specie di Jovanotta transalpina, zazzeruta e fricchettona, che gigioneggia con la musique d'oltralpe. Vai di bal musette, fisarmoniche tziganeggianti e melodie jazzatine, con produzione minimale, quasi in presa diretta. La batteria spazzolata e le guitares semiacustiche  reggono brani che occhieggiano a Vian e la  Zaz (vero nome Isabelle)  ci ricama dei melismi che non entrano nella storia . In Francia è diventata un caso, alcuni giornali l'hanno incensata come il futuro incarnato, les inrockuptibles ed altri la stroncano come banalità regnante,  e la sua "Je veux" è stata issata su tutte le radio a vessillo anticonsumista.  Nuova bandiera di una musica che torna all'artigianato o ennesimo equivoco? Probabilmente la verità sta, come spesso, in mezzo: la ragazza è bravina, la voce è così così, la minimalità della produzione sapientemente studiata ed il prodotto finale garbato, ma di genio ce n'è poco. Meno ruspante e schierato delle grandi  Femmouzes T (a proposito, la loro "On parle de parité" è veramente un inno), meno intrigante delle varie Keren Ann o Francoiz Breut, la Zaz sembra un po' la sorella francofona di Amparanoia. Buona lena, ritmo e gusto, una centrocampista dai piedi appena discreti, ma inventiva poca. Per noi quarantenni, sarebbe Tresor o Giresse, non  certo Platini.

sabato 27 novembre 2010

La vecchiaia dei Kinks e il fantasma degli UB40 - Ray Davies "See my friends", Ali Campbell "Great British Songs", 2010)

Per le rockstar e per i calciatori, come spiegava Cicerone nel De Senectute, la gestione del proprio invecchiamento non è certo un problema da poco, specie dopo che hanno vissuto giorni di gloria con folle acclamanti e critici benevolenti. E così, constatare che la vena artistica si è inaridita (o è diventata varicosa), che la cassiera del supermercato non solo non ti chiede l'autografo ma proprio non ti riconosce, che non stai più sulla cresta dell'onda ma su una poltrona coi nipotini, fa proprio male. Sono pochi quelli che portano con orgoglio e saggezza la propria canizie e che hanno fatto della vecchiaia un evoluzione e non un involuzione. I senescenti più saggi diradano le loro produzioni e spesso cesellano artigianato di nicchia, magari collaborano con giovani promettenti e spesso muovono verso uno stile magari più quieto ma affascinante e colto. Esempi? Che so, Peter Hammill, Robyn Hitchcock, Laurie Anderson, lo stesso Knopfler. Altri anzianotti faticano invece a cedere la ribalta e spesso reinventano adunate stile Pavarotti & Friends (& incasso, beninteso) o si lanciano in penose rivisitazione aggiornate della loro produzione passata (venghino siore e siori, rifamo tutto in versione techno!) o cercano di sbancare il botteghino con una confezionata antologia delle grandi canzoni, da loro opportunamente rivisitate.
Due casi recenti. Di Ray Davies, voce, chitarra, songwriter ed anima degli immensi Kinks, abbiamo amato tutto. Quoto nonno Bertoncelli: della cucina di casa Davies avremmo mangiato anche gli avanzi, ed è vero. Anche perché i loro piatti si conservano bene: a distanza di 40 anni il gusto è quasi inalterato e Sunny afternoon è seducente, amara e ironica come nel 1965. Per questo spiace un po' che il Ray abbia sentito la necessità di trovarsi con un orda di "amici", guarda caso uno per brano, per rifare insieme le sue cose più belle, tutte in rigoroso duetto.  Il risultato però è tristarello, nessun brano è orrendo, ma sono tutti costantemente inferiori agli originali, cui la memoria corre inevitabilmente. Beh, no, a ripensarci quello Paloma Faith è proprio orrendo. Al di là della selezione dei brani (manca la già citata Sunny Afternoon, mancano Dandy, Dedicated follower of fashion, ma queste sono preferenze personali) o della selezione degli amici (ognuno ha i suoi, tra quelli di Ray c'è gente degnissima, beninteso, da tal Bruce Springsteen a Lucinda Wiliams a Jackson Brown ad Alex Chilton, ma anche gente che avrei lasciato fuori dalla porta, tipo i Metallica o Jon Bon Jovi) quello che lascia perplessi è che non c'è risposta alla più semplice delle domande: perché? perché rifare con i friends famosi brani che hanno avuto veste migliore, molto migliore? Chi ama i Kinks cosa se ne fa di Victoria cantata dai Mando Diao, peraltro uguale all'originale? o di Lola nasaleggiata  brutalmente da Paloma Faith? e chi non li conosce che idea se ne fa? Sembra tutto un grande tributo all'ego di Mr. Davies che, intendiamoci, sta otto gradini sopra chiunque altro nel pop inglese anni 60, eccezion fatta per 4 liverpudliani, probabilmente però in fase carenziale di riconoscimenti. Sarebbe stato probabilmente meglio che il Ray avesse  preso alcuni (pochi) veri amici, attempati come lui, e dopo la cena ed il whiskino di rito, si fossero messi a registrare su un 4 piste delle versioni casalinghe dei brani, con quel suo vocione caldo e furbetto, un unplugged di coscritti, della prestigiosa leva del '46. Senza fare tardi beninteso, che l'età è quella. L'antologia si chiama See my friends ("guarda i miei amici") ma, se proprio dobbiamo restare nei titoli kinksiani, "Autumn almanac" poteva starci benissimo. Peccato.
E nella foga revivalista si rifà vivo anche Ali Campbell, bianco dalla voce nera e la faccia facciosa degli UB40, quelli di Red red wine, Rat in the kitchen e un altro migliaio di regghettini, alcuni  suadenti superdanzerecci che sono stati colonna sonora a fenomeni di ipersecrezione ormonale, altri poderosi inni libertari (Sing our down song!), tutti comunque godibilissimi.
Mr Campbell aveva già prodotto la sua personale duettata con amici nel 2007 (aveva tirato dentro, con il gusto dell'ossimoro Smokey Robinson e Mick Hucknall e Katie Melua) e allora ritorna con un idea un po' banalotta ma potenzialmente simpatica, cioè cantarci alcune grandi canzoni inglesi (Great British Songs si chiama l'album). Peccato che il non più giovane Campbell sappia solo quella musica là, anni 80-82 ed in questa noiosa chiave ci ripropone Beatles (got to get you into my life, a hard days  night) Stones, Kinks, Hollies, Free. Il tutto però registrato nel 2010, quindi con dovizia di campionatori e ammennicoli elettronici e Sly &Robbie alla consolle. Da psicoanalisi poi che per Campbell non ci siano grandi canzoni britanniche negli anni 80 mentre già così, a me, due o tre titoli verrebbero. Al netto è un pastiglione molto uniforme, con la voce non brutta ma neanche epocale - non è Paul Robeson o Marvin Gaye, e si sente -, che potrebbe essere ballabile ma che sentito a volumi onesti diventa musica da sfondo di supermercato. Riesce facile immaginarsi al settore surgelati a chiedersi, ma di chi è sta versione reggae di Paint it black?  Ci si avvia mestamente alla cassa e se davanti non avete Ali Campbell in persona, nessuno  risponderà. Comunque non chiedete alla cassiera, lei Campbell non lo conosce. 
PS: mentre redigevo questa biliosissima tirata, colto dal dubbio di essere eccessivo nelle mie  osservazioni ho surfato il www alla ricerca di altre, più dotte e più posate recensioni. Con grande gioia scopro che il sito della BBC è più sarcastico di me.

sabato 20 novembre 2010

frasi famose - take 1

Tut lon ch'a sai nen lon ch'a l'è, mi lu ciamu "new wave". Giorgio "Giors" Prigione, richiesto del perchè un disco dei Big Daddy fosse nello scaffale dedicato alla new wave,  attorno al 1985.

giovedì 18 novembre 2010

Klezmatics, Wonder Wheel (2008)

Tra le tante cose che il grande Woody Guthrie ha lasciato dietro di sè c'è anche una corposa raccolta di testi scritti e mai musicati. I suoi eredi, per musicarli, hanno coinvolto una prima volta Billy Bragg ed i Wilco, con ottimi risultati. Correva il 1998 e la combinazione del inglesissimo Bragg e degli americanissimi Wilco  aveva portato ad un album molto intenso, sicuramente di successo (per quel che vuol dire, una nomination ai Grammy), certamente sbilanciato sul versante a stelle e strisce, con gran dovizia di steel guitars, banjo, organi hammond.
Adesso, su impulso di Nora Guthrie, ci riprovano i Klezmatics, con ingredienti, questa volta, completamente diversi. Anche se di americani di passaporto, i Klezmatics provengono da un area culturale abbastanza distante dal country-folk americano e la curiosità su come avrebbero potuto applicare i loro stilemi klezmer e jazz sulle rime baciate dei versi di Guthrie era pari solo alla perplessità sulla riuscita. Ammetto di aver comprato il CD con qualche titubanza, e l'idea di trovarmi con un album di covers di Guthrie in versione klezmer mi atterriva proprio. Ma con una gran mossa i Klezmatics spiazzano tutti e offrono un caleidoscopio melodico che di klezmer ha poco e di jazz niente. Come un'insalatona in cui alla fine tutti i gusti si armonizzano bene i Klezmatics spaziano dalle ninne nanne a Morricone, dalla musica celtica a quella mediorientale transitando per la psichedelia, piazzano vocalizzi estatici e chitarre distorte, ingaggiando un ottima vocalist di formazione celtica (Susan McKeown) ed un chitarrista che più americano non si può (Boo Reiner). Ci vogliono ben 7 brani per arrivare alla primo ed assaggio di klezmer vero, e nel frattempo si è transitati per violini arabeggianti, nebbie scozzesi, trombe mediterranee e fiati tropicali. Difficile identificare un brano preferito, forse l'accorato gospel di "Holy round" o la concitata "Mermaid Avenue" in stile zydeco- calypseggiante, alla fine la cosa più gradita è la sensazione di un meticciato culturale inebriante, di una musica che come un immenso baobab ha così tante radici che non vale più la pena contarle. Ah, e poi ha anche vinto il Grammy.

domenica 14 novembre 2010

Guarda che luna!

Praticamente, dalle mie parti è un evergreen.
Ho tre figli e con ognuno di loro sono dovuto a scendere a inevitabili e comprensibili compromessi per quanto riguarda la musica da ascoltare insieme. Loro tirano per La vecchia fattoria ia-ia-oh, io magari mi orienterei verso uno Stooges d'annata.
Va da sé che che di una mia vittoria in questa diatriba non se ne parla neanche e l'unica alternativa ad una mia completa capitolazione è il compromesso, costituito da brani che non mi dispiacciano ma che possano nel contempo suscitare un loro interesse, ché poi, una volta che la melodia gli è entrata in testa, è fatta, sono capaci di canticchiarti pure i Talking Heads (gli Stooges no, non c'è verso).
Comunque, quel che volevo dire è che con un brano in particolare ho sempre riscosso un successo (leggi: approvazione) incredibile: si tratta di Guarda che luna interpretato da Petra Magoni&Ferruccio Spinetti.
Lei penso che sia una delle migliori voci presenti in Italia (non me ne intendo, ma potrebbe benissimo essere La migliore), lui è un altrettanto valente contrabbassista, già in forze agli Avion Travel, e insieme hanno formato questo duo, a nome Musica Nuda appunto, in cui le canzoni sono interpretate solo da loro due. Contrabbasso e voce dunque, nient'altro.
Questo era il loro primo album e fu una vera rivelazione, canzoni d'ogni dove e tempo (da Eleanor Rigby a Prendila Così a Monteverdi) reinterpretate in questa forma piuttosto inusuale. Tra l'altro pare che l'intero album sia stato registrato per gioco in un pomeriggio, e non è difficile crederlo tanto palesemente traspare la spontaneità di certi momenti.
Poi hanno pubblicato altri album, altrettanto belli e con qualche concessione in più alle collaborazioni (Stefano Bollani, per esempio) ma che semplicemente erano meno sorprendenti nella formula del primo.
Quel brano, Guarda che luna, è pure diventato un classico delle mie interpretazioni a cappella (robe che solo i miei parenti più stretti ed innocenti possono sopportare) e l'altra sera mi è venuto in mente di proporlo al più piccolo dei miei pargoli. Mentre mi ascoltava cantare quelle parole, i facili riferimenti alla luna e al mare, la notte, l'amore... sembrava rapito.
Oggi ho rispolverato il cd e gliel'ho messo a disposizione sulla sua malandata radioCD.
Risultato: unica canzone ad essere ascoltata da quell'essere smisuratamente impaziente dall'inizio alla fine. Di solito lui di una canzone ascolta i primi 7-10 secondi, poi skippa alla successiva. Con questa invece no, dall'inizio alla fine e poi di nuovo.
Devo dire che oggi l'avrò sentita 30 volte e che quindi mi sta venendo un pochino a noia, ma tutto sommato, paragonata alla Vecchia fattoria, è un gran bel passo avanti.
Per Down on the street c'è tempo.

venerdì 5 novembre 2010

Massimo Volume - Cattive Abitudini

Sono tornati.
Uno dei gruppi italiani migliori di sempre, di quelli che ci si può osare a fare ascoltare anche ad amici e colleghi stranieri, convinti di riuscire a strappargli un cooool! o un parbleu e di levargli dalla faccia quell'aria da voi italiani tanta melodia e serenate e tarantelle, ma il rock non lo sapete fare neanche un po'.
Avevano anche l'aria del mito bruciato in fretta. Tre album magnifici tra il '95 e il '99, poi lo scioglimento alle prime avvisaglie di cedimento. Ritirati prima del declino, insomma.
Scelta talmente saggia da valergli per più di 10 anni il titolo di mai abbastanza rimpianti. Erano diventati i mai-abbastanza-rimpianti Massimo Volume, insomma.
E invece, dopo qualche avvisaglia (un reunion-tour nel 2008, qualche colonna sonora), hanno pubblicato un nuovo album.
E siamo di nuovo lì. Chi già li conosce , li ritroverà in pieno: raffinato, semplice, ma non banale rock, chitarre-basso-batteria a pulsare e disegnare trame sofisticate ed avvolgenti in zona post-rock e su tutto la voce recitante e profonda di Emidio Clementi a narrare squarci di vita, di sogno, di riflessioni.
Come 15 anni fa, ma suonato ancora meglio, ancora più fluido, ancora più amalgamato ed orchestrato con precisione impressionante.
Chi non li conosce invece, li conosca. Ne vale davvero la pena.

Infine: il 18 novembre parte il tour da Torino, assieme ai Bachi da Pietra, altro notevolissimo gruppo nostrano, pure loro con un disco appena pubblicato. Se capitano dalle vostre parti approfittatene.