domenica 24 aprile 2011

Little America - Marah, The National, Great Lake Swimmers, Bonnie Prince Billy

Probabilmente questo post mi costerà qualche amicizia e qulache fondata accusa di superficialità. Molti compari melomani dedicherebbero, o meglio, hanno dedicato a questi albums taniche di inchiostro. Io mi beo della mia anglofilia e della diffidenza distaccata dal rock ordinariamente 'mericano, e quindi tendo a liquidarlo in poche parole. Volendo emendare le mie lacune nel settore ho scaric.., oops, raccolto alcuni albums di recente uscita made in USA. Confesso, li ascolto e  riascolto con piacere, come fosse una passeggiatina in un quartiere gradevole, ma, con tutte le migliori intenzioni, non riesco ad appassionarmi o a gridare al capolavoro. Alcuni poi, anatema! li confondo pure un po', sembrandomi assai simili e poco distintivi. Cominciamo il giretto dai minimali e vagamente depressivi Great Lake Swimmers (The Legion Sessions EP), che con vocine un po' lagnosette, countryeggiano lungo i sentieri di un milioncino di altri prima di loro (dai Cowboy Junkies in poi, ma si vede, ad esempio in She comes to me in dreams che hanno anche sentito a lungo i maestri REM), ma lo fanno con gusto e garbo. Scrivono belle canzoni, ma manca il pezzo che si stacca dagli altri. Più grinta, più esperienza e ottime frequentazioni (zio Steve Earle) hanno i Marah: pimpanti quanto basta, con un orecchio inequivocabilmente sixties - c'è pure un pizzico di Simon & Garfunkel nella loro With the spirit sagging - sfoggiano un altro bel disco, pieno e croccante, con belle composizioni ed un titolo meravigliosamente ironico, Life is a problem, la vita è un problema. E' un po' vero, ragazzi. Forse il più allegro del lotto.
I The National (High Violet) invece offrono qualche minima contaminazione con materiale non strettamente C&W, c'è qualche timidissimo elemento di elettronica e una voce che ha orecchiato la new wave e Nick Cave. Alcuni brani sono notevoli (The Sorrow è meravigliosa) ma come i precedenti non riescono a tenere viva la (mia) attenzione per tutto l'album, anche qui per una discreta monotonia, soprattutto di mood, che percorre tutto l'album. Ultima panchina della passeggiata oltreoceano è la compilation di Bonnie Prince Billy. Al di là del nom de plume ridicolo (qualcosa tipo "il bel principe Guglielmino"), Mr. Will Oldham produce ottima musica con perizia artigianale. Anche qui, radici solidamente ancorate nel Midwest, produzione minimale, voce roca e un discreto bisogno di antidepressivi. Va bene essere melancolici, ma un minimo.... Da una conversazione col mio amico Daniele (una delle voci mancanti all'album bianco) apprendo che conoscenti suoi si sono accapigliati sul valore dei The National. A me non sembra possibile, ma io sono anglofilo.

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