venerdì 27 aprile 2012

Bud Spencer Blues Explosion - Do It

Ci ho girato intorno per un po' a questo disco.
Troppo hype, troppa esposizione, l'onda della scena romana alla ribalta. Un po' come se il loro troppo successo innescasse quel meccanismo di diffidenza che mi tiene lontano dai Grandi Nomi Della Musica Mondiale (con qualche eccezione).
Poi uno mette un po' a fuoco la situazione, aggiusta prospettive e proporzioni e prova a fare un sondaggio. Chiedo ad alta voce, in ufficio "L'avete sentito l'ultimo dei Bud Spencer Blues Explosion?". I colleghi mi guardano come se fossi matto. Non un fioco barlume di comprensione brilla nei loro occhi attoniti. "Bah, tornate ad ascoltare Raf, va".
Dico Raf non a caso, perché il chitarrista dei BSBE ha lavorato anche con lui.
Raf, dopo lo sbuffo degli indie-oltranzisti, significa che il ragazzo sa il fatto suo, in quanto mestiere, e nel disco si sente.
L'altro BSBE è il batterista, e poi è finita. Cioè i BSBE sono un duo, chitarra (in ogni sua accezione), voce e batteria. Sono romani, se può interessare.
Come intuibile dal nome, il punto di partenza della loro musica è il blues, con sonorità che si spingono fino alle origini, al delta del Mississippi, Robert Johnson. Ma sono accenni, citazioni. Si divaga anche e soprattutto verso il rock, hard-rock che seppellisce quasi tutto, ma quelle venature nere gli conferiscono una sonorità decisamente inusuale dalle nostre parti. Il piglio è energico, la tecnica indiscutibile. Il risultato è trascinante e coinvolgente. Bum, qualcosa di cui andar fieri nel solitamente-desolato-panorama-della-musica-italiana.
Ma andiamo con ordine.
Si attacca con Slide, breve introduzione quasi inesistente, 16 secondi di ovattato fruscio da cui emerge a stento il suono di una chitarra slide, appunto. Lanciata dall'introduzione, esplode Più del minimo, un pezzo hard-rock piuttosto teso con evidenti riverberi Led Zeppelin. L'hard-rock è protagonista anche nella successiva Giocattoli, in Rottami (che per me è l'unico pezzo prescindibile) e in L'onda, uno dei due pezzi migliori dell'album.
Cerco il tuo soffio è introdotta e poi sostenuta da un bel gioco di Hammond e ne risulta un bel pezzo trascinante. Segue poi un'accoppiata antico/moderno nella quale prima si reinterpreta un classico del bues (Jesus on the mainline) a dire il vero in modo più filologico che creativo e poi una sKratch eXplosion in cui si ibridano blues e suoni hip-hop il cui solo difetto è la breve durata. Forse il tentativo avrebbe meritato più coraggio.
Dio Odia I Tristi (il cui acronimo costituisce il titolo dell'album) è per me il punto più alto dell'album. Un blues-rock indolente molto molto gradevole. Come un mare sarebbe invece un altro episodio prescindibile se non venisse ampiamente rivalutato dalla lunga coda finale che lascia libero sfogo alla chitarra di Viterbini.
Squarciagola ha venature più pop e infine l'album viene chiuso da una nuova versione di Hamburger , un pezzo già edito due dischi fa, e da Mi Addormenterò, perfetto blues in 12 battute, indolente, sporco e fumoso, come da tradizione.

C'è del buono in Italia, per fortuna. Anche di questi tempi.

lunedì 23 aprile 2012

Il jazz che non ti ignora - Fabrizio Bosso e Luciano Biondini live

"Se la maggior parte delle persone ignorano la maggior parte della poesia è perchè la maggior parte della poesia ignora la maggior parte delle persone
Così scrive Adrian Mitchell, poeta inglese, non propriamente ortodosso. Prendo la citazione e la giro sul jazz, genere che ignoro abbastanza e la mia ignoranza del quale ho spesso patito.  Finchè, mitchellianamente, ho colto che è il jazz ad ignorare il sottoscritto, e quelli come lui. Per chi non ha orecchio musicale coltivato, e necessita melodie semplici e tempi chiari e netti, il jazz è ostico di natura. L'aura di musica elitaria, da salotto colto (anche se nasce notoriamente nelle bettole di New Orleans), non aiuta l'approccio dei meno sapienti e contribuisce a tenere lontano l'ascoltatore occasionale ed un po' barbaro. Guardo i dischi della mia collezione cui qualcuno potebbe attaccare un tag "jazz": Susanne Abbuehl, Klezmatics, Jazz Butcher Conspiracy (ovvio), Rita Marcotulli, Giovanni Mirabassi, i vari canterburyani, alcuni della Egea, Penguin Cafè Orchestra. E, per vero dire, tanto jazz non sono. Ci sono anche, per obbligo di acquisto, Herbie Hancock e Miles Davis, ma raramente raggiungono il piatto del lettore CD. Why? perchè io ho bisogno di linee melodiche chiare, di tempi netti, di energia e non solo di virtuosismo. Perchè sono ignorante abbastanza da necessitare l'ascolto periodico di Cool for cats o Israel (Squeeze e Siouxsie, rispettivamente). Quando mio cognato, come già detto esperto della materia, mi ha regalato i biglietti per Bosso&Biondini nutrivo quindi legittimamente alcune tenui preoccupazoni, anche se sottilmente intrigato dalla peculiare formazione fisarmonica-tromba. Ad eterno merito di Bosso&Biondini (e di Matteo, diamine!) sono uscito entusiasta. Per quanto indubbiamente virtuosi, Bosso e Biondini hanno mostrato una vitalità, una carica, un volume inattesi, mescolando standard jazz con composizioni originali, in lunghe suites dal sapore vagamente mediterraneo, intense e ritmate. Ma soprattutto eseguite con un energia come se Bosso suonasse nei Memphis Horns e Biondini venisse dai Pogues. Hanno finito il concerto marci di sudore, e questo per me è una palma di onore. Non ho album da consigliarvi, il loro primo è ancora in attesa di distribuzione, ma sul solito iutùb potete trovare questo ed altri video. Da non perdere.

venerdì 13 aprile 2012

Lewis Floyd Henry - One Man & his 30w Prawn


Il signor Lewis Floyd Henry (di seguito LFH) è un artista di strada, uno di quelli che incontri nelle metropoli più turistiche -in questo caso  Londra-, piazzati per strada o nelle fermate della metro a suonare per il piacere dei passanti e soprattutto per raggranellare qualche spicciolo. LFH è il classico one-man-band, chitarra, armonica appesa al collo, batteria comandata col piede, amplificatore a batteria e altri ammennicoli. Trasporta tutto con un passeggino adattato, si piazza in un angolo e inizia a suonare.
Succede poi che sia molto bravo, e che un produttore discografico (piccolo piccolo, eh) se ne innamori e gli faccia fare un disco. Questo qua.
Questo produttore poi deve essere uno che sa gestire il proprio patrimonio artistico se i dischi di LFH, invece che rimanere nella custodia aperta in cui i passanti lasciano le monete, sono arrivati in negozi lontani qualche migliaio di km e sono stati recensiti in paesi ben lontani dal suo, regalando al signor LFH una fama non certo stratosferica, ma comunque ben superiore a quella tipica degli artisti di strada come lui.
Va poi detto che il tizio in questione è uno che pur non scendendo a troppi compromessi, è piuttosto ambizioso e rincorre il successo con una certa determinazione. Non scende a compromessi quando decide di eseguire per strada solo musica sua e non cover di pezzi celebri, ben più facili ed appetibili ai passanti. Non scende a compromessi quando decide di fare tutto da solo. In un'intervista ha detto che inizialmente l'idea di suonare con altri, una piccola band, gli pareva più "a effetto", più attraente per il pubblico distratto della strada. Poi si è reso conto che da solo riusciva a gestire meglio tutto quel che gli veniva in mente di fare. Così si è dovuto solo studiare gli accorgimenti per suonare tutta quella roba insieme e via: one-man-band. Non scende a compromessi quando nonostante  l'aspetto dilettantesco dell'essere un artista di strada, registra ogni esibizione, per riascoltarla e perfezionare ciò che non va ancora.

Il genere è un rock-blues sporco e tagliente. La voce ricorda un po' quella del Mick Jagger alle origini e certe sonorità sembrano arrivare proprio da Aftermath o Beggars Banquet, ma si avvertono pure sentori di Captain Beefheart, Hendrix, blues del delta, qualche deriva hard-rock. In un pezzo io ci ho pure ritrovato gli Animal Collective, in un certo modo di cantare. Con la voce dà spettacolo: passa da registro basso a falsetto con nonchalance spettacolare dentro le singole strofe. La ritmica, pur essendo per forza di cose piuttosto semplice, si lega molto bene al groove complessivo, e gli arrangiamenti sono sorprendentemente sofisticati.

È una concessione che faccio raramente, ma questa volta ammetto che si tratta di un disco che va ascoltato un po' di volte per essere apprezzato. Soprattutto per il fatto che i primi ascolti si concentrano sul "cosa riesce a fare questo tizio tutto da solo", perché la registrazione è fatta in presa diretta, come fosse per strada (a parte qualche marginale sovraincisione). Superata la fase di stupore ci si concentra sulla qualità e originalità del lavoro e si ha finalmente modo di apprezzarlo appieno.
A me gli artisti di strada in genere piacciono molto, ma sapendo che tra loro si nascondono personaggi di questa caratura, d'ora in poi li ascolterò con ancora maggiore attenzione.